Per celebrare i 25 anni della Giornata mondiale del malato, che si svolgerà a Lourdes l’11 febbraio, la Santa Sede pubblica una nuova Carta degli operatori sanitari, a servizio della Chiesa e della società. “Generare, vivere, morire” le tre sezioni in cui si articola il documento, che “aggiorna” la prima edizione, diffusa 22 anni fa in 19 lingue. Obiettivo: sostenere i “ministri della vita” nella fedeltà al loro “servizio alla persona umana”. Parola chiave: “responsabilità”
“Quanti sono convolti nelle politiche sanitarie e gli amministratori economici hanno una responsabilità relativa non solo ai propri specifici ambiti, ma anche verso la società e gli ammalati”. È l’appello contenuto nella nuova Carta degli Operatori Sanitari, resa pubblica – per volere di Papa Francesco – per celebrare i 25 anni della Giornata mondiale del malato, che si celebra a Lourdes l’11 febbraio. “Generare, vivere, morire” le tre sezioni in cui si articola il documento, che “aggiorna” la prima edizione, diffusa 22 anni fa in 19 lingue. Accanto alle classiche figure professionali sanitarie (personale medico, infermieristico e ausiliario) la nuova Carta allarga la platea, considerando anche altre figure che a vario titolo operano nel mondo della salute: biologi, farmacisti, operatori sanitari del territorio, amministratori, legislatori in materia sanitaria, operatori nel settore pubblico e privato. Obiettivo: sostenere i “ministri della vita” nella fedeltà al loro “servizio alla persona umana”. Parola chiave: “responsabilità”.
Generare. “La crioconservazione di ovociti finalizzata alla fecondazione in vitro – si ribadisce nella Carta – è inaccettabile, anche quando il motivo della crioconservazione fosse quello di proteggere gli ovociti da una terapia antitumorale potenzialmente lesiva per essi”.
Nessun problema morale, invece, per il congelamento del tessuto ovarico, risposta eticamente sostenibile nel caso di terapie oncologiche che possono alterare la fertilità della donna.
Quanto ai “nuovi tentativi di generazione umana in laboratorio” – tra gameti umani e animali, di gestazione di embrioni umani in uteri animali o artificiali, di riproduzione asessuale di esseri umani mediante fissione gemellare, clonazione, partenogenesi altre tecniche simili – si tratta di procedimenti “in contrasto con la dignità umana dell’embrione” della procreazione, e dunque moralmente inaccettabili. Tra le diagnosi prenatali, viene stigmatizzata la diagnosi pre-impianto, “espressione di una mentalità eugenetica che legittima l’aborto selettivo”.
Vivere. “La Chiesa alza la sua voce a tutela della vita, in particolare di quella indifesa e disconosciuta, quale è la vita embrionale e fetale”, tuona la Carta ribadendo il “no” all’aborto e alla “cultura abortista”, che “porta fatalmente molti a non avvertire più alcuna responsabilità verso la vita nascente e a banalizzare l’aborto e disconoscerne la gravità morale”. In questa sezione del testo si parla anche di vaccini, tema fortemente sentito dall’opinione pubblica.
“Dal punto di vista della prevenzione di malattie infettive, la messa a punto di vaccini e il loro impiego nella lotta contro tali infezioni, mediante una immunizzazione obbligatoria di tutte le popolazioni interessate, rappresenta indubbiamente una condotta positiva”.
Terapia genica e medicina rigenerativa sono vietate, nel caso di ricorso ad embrioni.
Nei Paesi del benessere c’è “un eccessivo consumo dei farmaci”, anche senza prescrizione medica, mentre in quelli in via di sviluppo non viene garantito il diritto di accesso alle cure. È l’eterno paradosso ancora da sconfiggere, in materia di diritto alla salute, che va esteso “a tutta la popolazione”, l’appello della Carta, soprattutto nel caso delle cosiddette “malattie rare o neglette”, al quale si accompagna il concetto di “farmaci orfani”.
Di qui la necessità, per gli operatori sanitari, di farsi promotori di “una sensibilizzazione delle istituzioni, degli enti assistenziali, dell’industria sanitaria”, tenendo conto che il diritto alla salute “è il risultato di fattori economici, sociali, e più generalmente culturali”.
Morire. “L’atteggiamento davanti al malato nella fase terminale della malattia costituisce la verifica della professionalità e delle responsabilità etiche degli operatori sanitari”, è il monito con cui si apre l’ultima sezione del documento vaticano, in cui si fa esplicito riferimento anche alle Dat (Dichiarazioni anticipate di trattamento), oggetto in questi giorni di dibattito in Parlamento:
la “ragionevole volontà e gli interessi legittimi dei pazienti” vanno rispettati, ma il medico “non è un mero esecutore” ed ha “il diritto di sottrarsi a volontà discordi dalla propria coscienza”.
Né eutanasia, né accanimento terapeutico, si ribadisce nella Carta, in cui si ricorda che “la nutrizione e l’idratazione, anche artificialmente somministrate, rientrano tra le cure di base dovute al morente, quando non risultino troppo gravose o di alcun beneficio”. Confermata anche la liceità della “sedazione palliativa profonda in fase terminale”: se “clinicamente motivata”, può essere “moralmente accettabile”, a condizione che “sia fatta con il consenso dell’ammalato, che sia data una opportuna informazione ai familiari, che sia esclusa ogni intenzionalità eutanasica e che il malato abbia potuto soddisfare i suoi doveri morali, familiari e religiosi”. Le cure palliative, infine, nelle fasi prossime al momento della morte devono essere attuate “secondo corretti protocolli etici” e sottoposte “ad un continuo monitoraggio”, senza mai sospendere le “cure di base”.