«Ero malato e mi avete visitato». Da cinque anni questo frammento evangelico nella diocesi di Rieti ha un sapore particolare. È quello del servizio reso dal Centro Sanitario diocesano a tutte le persone povere che vivono il disagio della malattia. Un’esperienza costruita a partire sulle solide fondamenta gettate da un primo esperimento avviato durante l’episcopato di mons Delio Lucarelli, negli spazi della parrocchia di Santa Lucia in Rieti, anche allora affidato alla guida dell’Ufficio diocesano per la Pastorale della Salute. Un utile rodaggio che ha preparato la strada al taglio del nastro del portone di Palazzo San Rufo da parte di mons Pompili, che affidando alla struttura i nuovi locali dava seguito non solo all’ampliamento degli spazi, ma anche dell’offerta.
Fu una bella giornata primaverile, molto allegra. Non si potevano di certo prevedere i disagi che sarebbero arrivati dopo poche settimane: prima il terribile terremoto del 24 agosto 2016, che ha portato danni e distruzione ad Accumoli, Amatrice e in tutto il centro Italia; poi la pandemia, il cui peso è stato forse ancora più sentito in un territorio già così provato. Eventi che hanno lasciato il segno nell’attività del Centro Sanitario, ma senza intaccarne lo spirito.
Sul numero 16 del settimanale Frontiera, in edicola dal 30 di aprile, un’intervista con il direttore dell’Ufficio diocesano per la Pastorale della Salute, diacono Nazzareno Iacopini, ripercorre i cinque anni di attività del servizio, facendo un bilancio dei cambiamenti, anche alla luce dell’impatto del terremoto e della pandemia da Covid-19, e guardando al futuro.
(Foto di Massimo Renzi)
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